Origini e documenti storici
Romano Marchi ha svolto, nel corso degli anni recenti, un imponente e complesso lavoro di indagine storica e genealogica sulle origini di Civago e delle sue genti.Le ricerche si sono indirizzate su due filoni principali:
- la catalogazione e trascrizione di atti notarili, lettere e documenti collocati in diversi archivi della provincia
- la ricostruzione degli alberi genealogici delle principali discendenze del paese
Mi ha affidato i materiali per la pubblicazione sul sito, materiali che, oltre la consistenza quantitativa (basti un dato: oltre 450 documenti originali, scansionati in alta risoluzione) sono organizzati con differenti supporti (word - excel). Ho deciso perciò di offrire, ove possibile, i testi principali in html, e il restante in pdf. (Willer Barbieri)
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Antichi documenti
di Romano Marchi
Introduzione
Questo contributo prosegue il lavoro, iniziato lo scorso anno, relativo al ritrovamento degli antichi scritti riguardanti Civago e il territorio della val Dolo, il paese dove sono nato.
L’abitato si trova in prossimità dello spartiacque Tosco-Emiliano, nel versante lombardo, confinante con la Garfagnana ed il Modenese. Come tutte le “terre di frontiera”, ubicate in capo al mondo, è sempre stato un luogo di difficile accesso e controllo.
Quale potrebbe essere l’etimologia del nome Civago?
Nonostante sia discutibile e soggettivo, ritengo si possa ipotizzare derivi dal termine civicus che significa appartenente agli abitanti, e dal suffisso celtico ago, traducibile in località, e pertanto, luogo libero, senza confini, appartenente a tutti gli abitanti; in altre parole luogo di tutti. Ancor oggi, infatti, sopravvivono i beni civici di proprietà esclusiva dei civaghini, che vengono utilizzati come pascolo e bosco. Interessante sarebbe studiare questa ed altre ipotesi sull’origine del nome.
Origini di Civago
In data 20 dicembre 1240, il Podestà sentenziò che si dovesse sborsare una somma in ducatoni imperiali, per il latrocinio subìto dai mulattieri di Fixeclo (Fucecchio) in località “Passo delle Forbici”, così suddivisa: 50 ducatoni gli uomini di Fontanaluza, 50 Gazano, 20 Aste, 15 Morsiliagno, 10 Novelano, 20 Fabio, 6 Armanorio.
Quanto sopra ci mostra la consistenza degli abitati di questi posti. A quella data Civago non è ancora menzionato.
Dal libro dei “fuochi”, presso l’Archivio di Stato, nel 1315 risultano registrati, a Gazzano, 28 fuochi e 150 bocche e Civago non è ancora menzionato.
Nel 1615, dai dati reperiti, ecco la nuova composizione: Gazzano 88 fuochi e 493 bocche, Case Pelati 20 fuochi e 131 bocche, Cervarolo 37 fuochi e 206 bocche e, finalmente, compare Civago con 26 fuochi e 153 bocche.
Tra il 1651 ed il 1680 vengono battezzati, nella parrocchia di Gazzano, 267 bambini dei quali 71 sono di Gazzano e 196 di Civago.
Nel 1652, dai dati riportati a seguito della visita pastorale del cardinale Rinaldo d’Este, a Gazzano risultano 62 fuochi e 310 bocche, a Cervarolo 46 fuochi e 287 bocche e a Civago 52 fuochi e 270 bocche, come riportato anche dagli scritti di don Francesco Milani nel testo su Toano.
Ecco che, con l’arrivo dei colonizzatori, inizia il disboscamento e la preparazione dei ronchi allo scopo di dissodare i terreni, per renderli più fertili e produttivi.
E perché questi scelsero la zona di Civago? Perché forse trovarono un habitat favorevole. Oltre alla terra che permetteva l’allevamento di ovini e bovini, e quindi produzione di latte, formaggio e carne, si poteva seminare e raccogliere frumento ed orzo. Qui era presente il castagno, che offriva alimento per la sopravvivenza, il paese poi si attrezzò costruendo ovunque i metati adibiti alla essicazione delle castagne che, successivamente, il mulino trasformava in preziosa farina. Purtroppo oggi i metati ed il mulino sono in completo abbandono.
Dai rogiti in nostro possesso risultano i cognomi dei primi “magnifici tredici” abitanti di Civago che hanno dato il loro nome ai casolari ove si sono insediati.
Troviamo così:
Iacopo Zancatalini Case Cattalini
Fam. Poli Case Bortolaccino
Bertolotti Grisante Case Triganti
Bertolotti Case Bertolotti
Caniparoli Case Caniparoli
Comastri Case Comastri
Biondi Natale Case Nataloni
Fioravanti Case Fioravanti
Gianmarchi Case Gianmarco
Costarsa Case Costarsa
Costa Case Costa
Romita Case La Romita
Gaspari Case di Civago?
Questi capostipiti non provenivano da Gazzano, come si è sempre pensato, perché nessuno di questi cognomi figurava nei registri dei residenti.
Dal rogito n° 1, stipulato in data 25/10/1665, risulta che un certo Antonio Bertolotti vende a Martino Bertolotti, una pezza di terra situata in Villa Collemandina sotto la giurisdizione di Castelnuovo Garfagnana, comperata dagli eredi di Nanni dei Baroni di Sassorosso. Questa, quindi, dovrebbe essere la loro provenienza.
Da notare che la Garfagnana, a quell’epoca è chiamata Cafeonia.
In questo caso è ovvio trattasi di un pastore transumante, dai pascoli alpestri estivi di Civago a quelli invernali della Maremma.
Escludendo i Bertolotti che giungono dalla vicina Garfagnana, tutti gli altri da dove provengono? Va, infatti, escluso che si tratti di pastori, perché moltissimi atti sono stati stipulati in date invernali, periodo nel quale i pastori si trovavano in Maremma e non si può certo pensare che fossero tornati a Civago per redigere un documento! Perciò i fondatori probabilmente erano contadini ed artigiani.
Allora da dove arrivavano? Si trattava forse di persone confinate in questo luogo remoto e difficilmente controllabile, perché ribelli? Oppure di persone fuggite perché perseguitate? Oppure perché l’ambiente in cui vivevano non permetteva loro un’alimentazione sufficiente alla sopravvivenza? Oppure per salvarsi da epidemie? Oppure?
Non ho elementi concreti a disposizione per dare una risposta certa. Certo è che l’argomento costituisce uno spunto interessante per una successiva ricerca.
Lo studio stesso del nostro dialetto potrebbe aiutare a trovare un collegamento con le località di origine dei nostri antenati, ed anche questo è un aspetto molto interessante.
I rogiti, datati a partire dal 1665, ci presentano una situazione presumibilmente iniziata almeno due generazioni precedenti, e ci conferma, come albori della colonizzazione, la data intorno al 1500. Dagli stessi rogiti ho potuto ricostruire una prima traccia dell’albero genealogico delle famiglie capostipiti di Civago. Da esso si evidenzia una notevole espansione demografica, nonostante le morti provocate dalla peste di manzoniana memoria, tra il 1630 e 1633.
Dall’analisi delle discendenze, si può notare come molte persone siano state costrette a trasferirsi altrove per sopravvivere, perché la nostra terra non era più in grado di sfamare tutte quelle bocche. Purtroppo questo fenomeno si è protratto nel tempo ed ancora oggi assistiamo, quasi impotenti, ad un progressivo ed inarrestabile spopolamento.
A differenza di quanto normalmente si è verificato per gli altri abitati, gli emigranti di Civago non avevano un punto di riferimento riconducibile ad una singola località. Li ritroviamo, infatti, in tutti gli stati europei ed anche oltre oceano: Stati Uniti, Argentina, Canada e persino in Australia.
Gli Istrumenti
Questi “Istrumenti” che documentano gli avvenimenti locali per un così lungo periodo, sono stati trovati nella soffitta di una casa posta in territorio di Civago. Essi coprono un arco di tempo, che va dal 25 ottobre 1665 sino al 9 gennaio 1797 e si compongono di ben 128 rogiti notarili, originali, regolarmente datati e tabellionati.
Tutti questi reperti sono stati catalogati mediante numerazione progressiva, in relazione alla data della loro stesura, onde facilitare la ricerca e limitare al massimo la loro manipolazione.
E’ risaputo che nei paesi ogni nucleo familiare è individuato con un soprannome. Quello della famiglia a cui appartengo è “chi dl’Abate”, cioè “quelli dell’Abate”.
Il nostro antenato, Joseph Caniparoli, è vissuto in quel gruppo di case, denominato appunto “Casa dell’Abate”, che si trovava ove è posta la partenza degli impianti sportivi invernali di Civago.
Sulla base dei manoscritti lasciati dallo stesso autore, in latino e italiano, si può certamente affermare che si tratti di persona molto erudita, una figura eccezionale, se inquadrata nel contesto territoriale e sociale di questo paese, quasi completamente analfabeta ad occupazione agro - pastorale. Egli insegnava lettere nelle scuole di Frassinoro e si compiaceva di disquisire se fosse cosa migliore celebrare la messa in italiano anziché in latino, precorrendo i tempi.
Esprimeva, inoltre, la sua opinione sull’opportunità di evitare vacanze troppo lunghe per gli studenti, sulla retorica e sulla metrica. Altri scritti, come la supplica alla E.V. R. per essere ammesso alla ordinazione del Suddiaconato, o quello relativo ai fondatori di Frassinoro, o la richiesta ad un amico per avere un cavallo in prestito, o quello in cui comunica ad un conoscente che è stato scelto per recarsi a combattere in guerra, meravigliano per le concrete, argute ed accademiche esposizioni.
Rimane attualmente inspiegabile ove questo abate Joseph Caniparoli abbia potuto apprendere queste così profonde cognizioni; forse presso il sacerdote di Civago, oppure in qualche seminario dei dintorni (Frassinoro?).
Quanto sopra riportato serve a comprendere le ragioni per le quali siano stati concentrati presso questo abate tanti Istrumenti.
Era, infatti, uno dei pochi abitanti, assieme al parroco, in grado di leggere e scrivere sia in italiano che in latino ed a lui si rivolgevano, fiduciosi, gli abitanti di Civago per un aiuto. Non nascondo l’emozione, come civaghino, che ho provato nello schedare, catalogare e tradurre questi scritti.
È un dato di fatto che i nostri figli non saranno più in grado di esprimersi nel nostro idioma dialettale e non sapranno dove si trova “Bora di Boione” o cosa sia una “traggia”, l’antenata del trattore.
Essendo i documenti più vecchi scritti in latino, la difficoltà iniziale è stata quella di decifrare tutte quelle arcane parola, senza essere uno storico di professione! Le considerazioni che avanzo e le traduzioni che presento sono solo ipotesi formulate alla luce di tutto il complesso di documenti ritrovati e consultati. Si è pensato, inoltre, di allegare solo parte dei documenti ritrovati per dare al lettore chiara ed esaustiva idea del contenuto e della forma.
Luogo di stesura degli Istrumenti
La maggior parte di questi sono stati stipulati presso l’abitazione dei vari notai, cioè Gazzano, Fontana Lucia, Piano dell’ Agochia (Piandelagotti). Non mancano però quelli redatti a metà strada, sulla via pubblica, tra l’abitazione del Notaio e quella dei rogitanti (Bora di Boione. Vedi n°15 e n° 32). Uno è stato stipulato addirittura in camera “cubiculare” in quanto il testamentario è a letto “indisposto alquanto di corpo” (n° 100), un altro sulla pubblica via e così recita:“io Notaio infrascritto Vicereggente, sedente e sedendo sopra una scranna di legno intrecciata di paglia, luogo eletto per mio legittimo tribunale” (n°57-n°62-n°94-da notare la roboante pomposità), un altro è stato stipulato in cantina (n°86).
Carta utilizzata
La carta utilizzata per la stesura degli atti, vista in controluce, mostra l’immagine scelta da ogni singolo notaio: ora l’alabarda, ora il giglio, ora la croce, ora la stella e altri simboli.
Il tabellionato
I tabellionati1 meritano un trattamento particolare per la loro peculiarità. Ogni atto redatto dal notaio Capelletti, ad esempio, riporta il suo distintivo disegnato a mano. Ne proponiamo alcuni, scelti per la loro singolarità e interesse.
Compravendita
La maggior parte dei documenti trovati interessa il passaggio di proprietà in relazione a terreni prativi, saldivi, boschivi e castagneti nonché di case, tegge, metati e piccoli capanni. Qualche rogito si discosta dalla ripetitiva esposizione. Il n° 10, datato 2/9/1678, riporta la vendita di terreno effettuato dalla Domenica Gaspari, vedova di Rocco Rubert, perché i suoi figli Jacopo di anni 2 e mezzo, Lucia di 10, Marco di 12, e Domenico di 15 vanno in rovina per fame. Il n° 49 tratta della vendita di una stessa pezza di terra da parte di Maddalena, in momenti successivi, a due diversi compratori. Il n° 65 riporta che la Maria Biondi è costretta a vendere una pezza di terra per causa di pagare roba commestibile datali dalla Comunità di Gazzano. Il n° 92 ci ricorda che la Domenica Vannucci, con grande dignità, è costretta a vendere i suoi beni onde poter onorare un debito contratto da suo figlio.
Doti
E’ la somma che il padre concede alla figlia da maritare. Importi anche sostanziosi che fanno presumere a cifre corrispondenti spettanti ai figli maschi. Importante è constatare che tale importo resta di proprietà della moglie per tutta la vita, ed il marito che incassa tale importo è costretto a garantire la consorte ipotecando i propri beni personali.
Molto spesso la dote è stata motivo di diatribe a causa del ritardato pagamento del relativo pattuito.
Censo
Molti rogiti hanno per oggetto il censo. Quando necessita denaro, si chiede un prestito e ci si impegna, in perpetuo, a versare una somma annuale stabilita, corrispondente al tasso dell’otto per cento. A garanzia del pagamento, si ipoteca un proprio terreno in modo da coprire l’importo totale ricevuto. E’ molto interessante il diritto che viene riconosciuto a chi riceve il prestito, consistente nella facoltà di poter affrancare in qualunque momento tale censo, liquidando l’importo corrispondente ad annualità 12 e mezzo, e liberando anche i vincoli imposti sui propri beni. Il censo può consistere anche nel versare annualmente (ed in perpetuo) un importo fisso, ad esempio, all’altare della Beatissima Vergine di Caravaggio eretto a S. Antonio di Castelnuovo Garfagnana, come risulta da rogito del 02/10/1749 n° 85.
Testamenti
Sono senz’altro gli scritti più belli, sebbene sostanzialmente ripetitivi. Denotano grande religiosità, e rispetto delle tradizioni e delle leggi. Solitamente il marito lascia i beni ai figli, ma con il vincolo dell’usufrutto alla moglie finchè è viva, alla condizione però che conduca vita vedovile onesta ed irreprensibile a suo onore.
La moglie tuttavia rimane proprietaria dei beni portati in dote, sui quali ha facoltà di disporne come meglio vuole.
Lavori pubblici
Riportiamo anche una distinta di giornate di lavoro, prestate dagli abitanti, per costruire il mulino, le maestà e per sistemare le vie pubbliche.
Procure
Molti sono gli atti che richiedono la Procura, obbligatoria per i soggetti che non hanno ancora compiuto 25 anni, considerati minorenni. Anche a quei tempi era compito predominante dei Notai salvaguardare i minori e garantirne vantaggi.
Stupro
Una breve annotazione storica, riconducibile a questo fatto, penso sia opportuno presentarla.
Il Codice Estense viene emanato da Francesco III, nel 1771. Lo stupro, avvenuto nel 1730, cade ancora sotto lo Statuto della Castellanza di Minozzo che prevede, per chi lo compie, la decapitazione oppure 100 soldi di ammenda se il fatto è avvenuto “senza violenza”. L’accordo intervenuto, fra la Maria e Matteo, fa pensare che sia stato rubricato sotto questo secondo titolo. Occorre inoltre ricordare che Domenico, fratello di Matteo, in quel periodo è il personaggio predominante nel paese. A conferma, troviamo suo figlio Pietro come massaro, cioè capo della comunità di Gazzano in data 24/2/1758 come da atto n° 92. Se a questa circostanza aggiungiamo il grado di parentela tra le famiglie, la presenza del fratello della Maria, il sacerdote Don Domenico, e la obbiettiva imbarazzante situazione, non rimane altra alternativa che giungere ad un pacifico e sbrigativo accordo per mettere a tacere il tutto.
Misurazione della compra - vendita
Non esistendo catasto, l’area viene delimitata dal nome del posto e dal nome dei confinanti, nonostante si parli di tavole, biolche, quartari ma soprattutto di “quantasivoglia” per indicarne la superficie a corpo.
Corrispettivo
Normalmente il prezzo era quantificato in ducatidi Reggio valevoli 7 zecchini e 15 soldi, ma venivano accettati, come transazione, anche ducati di Modena, zecchini di Fiorenza, bolognini, scudi, filippi e perfino “libbre di formaggio di ovino opportunamente stagionato”.
Località interessate
Numerose sono le località che tuttora mantengono le denominazioni riportate negli Istrumenti. Tra queste vengono menzionate: i Caniparoli, case di Bertolotto, la Costarsa, Ronco Grande, Buona Teggiola, il Dosso, gli Scorzari, ai Roncadelli, i Felegeti, il Pozzolo, Cà dei Comastri, quello di Andreino, alla Borella, le Lame piane, quel di Bernardo, alla Paesina, ai Marginelli, Case Nataloni ed altri ancora.
La Podesteria
Si trovava a Minozzo, ma Gazzano è stato Comune sicuramente fino al 1710, così pure Muschioso (n°43) della Podesteria di Monte Fiorino, fino al 1723.
Notai
I primi Istrumenti in nostro possesso sono stati stilati dal notaio Paolo Cappelletti da Gazzano, in lingua latina, dal 1665 sino al 1709, ad eccezione di uno, scritto in italiano, datato 18 novembre 1686 (n°13). Successivamente si sono alternati altri notai e la lingua italiana viene adottata definitivamente a partire dal 1740.
“Banca” di Civago
A Civago la famiglia Caniparoli ha sempre avuto una posizione dominante e di privilegio divenendo anche un riferimento come banca.
In quasi tutti gli atti stipulati da questa famiglia, i venditori usano i termini di “retrodiede”, “retrovendette”, seguiti sempre dalla stima dei terreni espletata da persone di riguardo, come sacerdoti, sergenti, caporali, agrimensori e comunque scelte da entrambi i contraenti.
Anche il pagamento risulta espletato prima della stesura del rogito.
Chi necessita di prestiti si rivolge a questa famiglia, ipotecando, a garanzia, i propri terreni. Alla scadenza, qualora non siano in grado di restituire l’importo ricevuto, cedono il terreno che però, attenzione, viene valutato equamente dagli estimatori. Inoltre viene riconosciuta la facoltà di riscatto per lo stesso importo evitando l’usura.
Una storia di famiglia importante
Passo ora a riassumere la storia, fantastica e tragica, di una famiglia e di una dote, in quanto ritengo sia emblematica della situazione sociale ed economica vigente in quei tempi. Il racconto è preceduto, per maggior chiarezza, con riferimento alle genealogie allegate. Domenico Caniparoli (n°5) ha cinque figli: (n°16) Matteo, (n17) Pietro, (n°18) Gian Domenico, (n°20) Giovanni e (n°19) Lucia.
Giovanni Comastri (n°15) ha quattro figli: (n°16) Franca, (n°18) Maria, (n°19) Domenico e (n°17) Giovanni Matteo. Dal matrimonio tra la Lucia e Giovanni Matteo nascono (n°20) Gian Domenico e (n°21) Caterina.
Dall’atto n° 71, stipulato in data 12/12/1744, (testamento di Domenico del fu Pietro Canenaroli), appaiono espresse le sue ultime volontà, e tra queste lascia alla figlia Lucia, oltre ai panni ed arredamenti, ducatoni 400 a titolo di dote.
Dall’atto n° 73, stipulato in data 8/4/1746, la Lucia Caniparoli, prossima alle nozze con Giovanni Matteo Comastri, in rispetto degli accordi presi, riconosce che tale dote deve essere liquidata a matrimonio contratto, ma Lucia stessa chiede che venga anticipata a prima delle nozze perché, dice, di averne urgente necessità. Occorre far notare che si tratta dell’importo di gran lunga più consistente riscontrato in tutti gli Istrumenti raccolti e questo dà l’idea della posizione privilegiata della famiglia Caniparoli. Nel contempo è deceduto suo padre.
Dall’atto n° 85, stipulato in data 2/10/1749, Giovanni Matteo Comastri dà incarico a Pietro Caniparoli, fratello di Lucia, già sposa, di saldare un censo che Giovanni Matteo Comastri tiene con il Venerabile Altare della Beatissima Vergine di Caravaggio, eretto nel territorio di S. Antonio di Castelnuovo di Garfagnana. Tale importo ammonta a ducatoni 45 ed il suo saldo viene considerato come acconto relativo alla dote dovuta a sua sorella Lucia.
Dall’atto n° 86, stipulato in data 22/10/1749, risulta che Giovanni Matteo Comastri ha ricevuto da Pietro del fu Domenico Caniparoli la somma di ducatoni 40 lasciati da Paola, vedova di Domenico e madre di Lucia. Vengono inoltre consegnate due vaccine, valutate ducatoni 41, anche queste come acconto di dote.
Dall’atto n° 90, stipulato in data 2/12/1754, Gaspari vende al Maggiore Pietro Caniparoli che acquista e trasferisce a Giovanni Matteo, in acconto per il pagamento della dote che deve a sua sorella Lucia, nel contempo deceduta, per un importo di ducatoni 120. Il marito Giovanni Matteo dovrà tenere, salvare e custodire dette terre a favore dei di lui eredi e precisamente a favore di (n°20) Gian Domenico e (n°21) Caterina.
Dall’atto n° 93, stipulato in data 13/12/1758, risulta una distinta di beni lasciati in eredità dalla fu Lucia Caniparoli, sposa di Giovanni Comastri, nel frattempo deceduto, e consegnati a Gian Domenico e Caterina dal nonno Giovanni Comastri. I bambini rimasti orfani vengono accuditi dallo zio Gian Domenico Caniparoli.
Dall’atto n° 95, stipulato in data 15/5/1759, risulta che Pietro e Gian Domenico Caniparoli, per onorare l’impegno per la dote della sorella fu Lucia, cedono ai nipoti Gian Domenico e Caterina Comastri diverse pezze di terra per un valore complessivo di ducatoni 173 come da stime effettuate da persone probe e competenti.
La somma dei suddetti acconti, supera i ducatoni 400 stabiliti, a completamento degli impegni presi, ed inoltre gli zii trasferiscono ulteriormente altre terre di valore non quantificato.
Quanto sopra è il “succinto resoconto”degli avvenimenti, verificatisi nel periodo di soli quindici anni, relativi alla drammatica storia, vissuta in quel contesto familiare e sociale, da Lucia Caniparoli e Giovanni Matteo Comastri.
Questi documenti sono una “fotografia” dettagliatissima di quegli avvenimenti.
Pur essendo tutti gli atti tradotti in italiano, sono stati selezionati alcuni Istrumenti riguardanti: censo, compravendita, dote, procura, testamenti, altri relativi a curiosità e persino uno relativo ad uno stupro.
Per ragioni editoriali ne abbiamo scelti solo alcuni come esempio. Gli originali rimangono a disposizione di tutti gli interessati presso il centro visita del Parco del Gigante. Sono particolarmente gradite ulteriori testimonianze documentarie, segnalate e messe a nostra disposizione per ulteriori studi.
Sento l’obbligo di ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla ricerca dei vari documenti con lo scopo di farli conoscere. In particolare: Graziano Gigli, Siro Caniparoli, Arcero Secchi e Mario Testoni.
(1) Nel medioevo il tabellionato era la sigla personale apposta dal notaio sugli atti per garantirne l’autenticità. Qui è da intendersi come marchio o timbro.
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Nota: Sebbene ogni atto porti un qualcosa di peculiare che lo distingua dagli altri, ritengo opportuno consigliare una graduatoria per la lettura di quelli più importanti, suddividendoli anche per categoria.
(tranne i documenti testamentari, sono tutti riferiti ai Documenti Casa dell'Abate)
- la catalogazione e trascrizione di atti notarili, lettere e documenti collocati in diversi archivi della provincia
- la ricostruzione degli alberi genealogici delle principali discendenze del paese
Mi ha affidato i materiali per la pubblicazione sul sito, materiali che, oltre la consistenza quantitativa (basti un dato: oltre 450 documenti originali, scansionati in alta risoluzione) sono organizzati con differenti supporti (word - excel). Ho deciso perciò di offrire, ove possibile, i testi principali in html, e il restante in pdf. (Willer Barbieri)
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Antichi documenti
di Romano Marchi
Introduzione
Questo contributo prosegue il lavoro, iniziato lo scorso anno, relativo al ritrovamento degli antichi scritti riguardanti Civago e il territorio della val Dolo, il paese dove sono nato.
L’abitato si trova in prossimità dello spartiacque Tosco-Emiliano, nel versante lombardo, confinante con la Garfagnana ed il Modenese. Come tutte le “terre di frontiera”, ubicate in capo al mondo, è sempre stato un luogo di difficile accesso e controllo.
Quale potrebbe essere l’etimologia del nome Civago?
Nonostante sia discutibile e soggettivo, ritengo si possa ipotizzare derivi dal termine civicus che significa appartenente agli abitanti, e dal suffisso celtico ago, traducibile in località, e pertanto, luogo libero, senza confini, appartenente a tutti gli abitanti; in altre parole luogo di tutti. Ancor oggi, infatti, sopravvivono i beni civici di proprietà esclusiva dei civaghini, che vengono utilizzati come pascolo e bosco. Interessante sarebbe studiare questa ed altre ipotesi sull’origine del nome.
Origini di Civago
In data 20 dicembre 1240, il Podestà sentenziò che si dovesse sborsare una somma in ducatoni imperiali, per il latrocinio subìto dai mulattieri di Fixeclo (Fucecchio) in località “Passo delle Forbici”, così suddivisa: 50 ducatoni gli uomini di Fontanaluza, 50 Gazano, 20 Aste, 15 Morsiliagno, 10 Novelano, 20 Fabio, 6 Armanorio.
Quanto sopra ci mostra la consistenza degli abitati di questi posti. A quella data Civago non è ancora menzionato.
Dal libro dei “fuochi”, presso l’Archivio di Stato, nel 1315 risultano registrati, a Gazzano, 28 fuochi e 150 bocche e Civago non è ancora menzionato.
Nel 1615, dai dati reperiti, ecco la nuova composizione: Gazzano 88 fuochi e 493 bocche, Case Pelati 20 fuochi e 131 bocche, Cervarolo 37 fuochi e 206 bocche e, finalmente, compare Civago con 26 fuochi e 153 bocche.
Tra il 1651 ed il 1680 vengono battezzati, nella parrocchia di Gazzano, 267 bambini dei quali 71 sono di Gazzano e 196 di Civago.
Nel 1652, dai dati riportati a seguito della visita pastorale del cardinale Rinaldo d’Este, a Gazzano risultano 62 fuochi e 310 bocche, a Cervarolo 46 fuochi e 287 bocche e a Civago 52 fuochi e 270 bocche, come riportato anche dagli scritti di don Francesco Milani nel testo su Toano.
Ecco che, con l’arrivo dei colonizzatori, inizia il disboscamento e la preparazione dei ronchi allo scopo di dissodare i terreni, per renderli più fertili e produttivi.
E perché questi scelsero la zona di Civago? Perché forse trovarono un habitat favorevole. Oltre alla terra che permetteva l’allevamento di ovini e bovini, e quindi produzione di latte, formaggio e carne, si poteva seminare e raccogliere frumento ed orzo. Qui era presente il castagno, che offriva alimento per la sopravvivenza, il paese poi si attrezzò costruendo ovunque i metati adibiti alla essicazione delle castagne che, successivamente, il mulino trasformava in preziosa farina. Purtroppo oggi i metati ed il mulino sono in completo abbandono.
Dai rogiti in nostro possesso risultano i cognomi dei primi “magnifici tredici” abitanti di Civago che hanno dato il loro nome ai casolari ove si sono insediati.
Troviamo così:
Iacopo Zancatalini Case Cattalini
Fam. Poli Case Bortolaccino
Bertolotti Grisante Case Triganti
Bertolotti Case Bertolotti
Caniparoli Case Caniparoli
Comastri Case Comastri
Biondi Natale Case Nataloni
Fioravanti Case Fioravanti
Gianmarchi Case Gianmarco
Costarsa Case Costarsa
Costa Case Costa
Romita Case La Romita
Gaspari Case di Civago?
Questi capostipiti non provenivano da Gazzano, come si è sempre pensato, perché nessuno di questi cognomi figurava nei registri dei residenti.
Dal rogito n° 1, stipulato in data 25/10/1665, risulta che un certo Antonio Bertolotti vende a Martino Bertolotti, una pezza di terra situata in Villa Collemandina sotto la giurisdizione di Castelnuovo Garfagnana, comperata dagli eredi di Nanni dei Baroni di Sassorosso. Questa, quindi, dovrebbe essere la loro provenienza.
Da notare che la Garfagnana, a quell’epoca è chiamata Cafeonia.
In questo caso è ovvio trattasi di un pastore transumante, dai pascoli alpestri estivi di Civago a quelli invernali della Maremma.
Escludendo i Bertolotti che giungono dalla vicina Garfagnana, tutti gli altri da dove provengono? Va, infatti, escluso che si tratti di pastori, perché moltissimi atti sono stati stipulati in date invernali, periodo nel quale i pastori si trovavano in Maremma e non si può certo pensare che fossero tornati a Civago per redigere un documento! Perciò i fondatori probabilmente erano contadini ed artigiani.
Allora da dove arrivavano? Si trattava forse di persone confinate in questo luogo remoto e difficilmente controllabile, perché ribelli? Oppure di persone fuggite perché perseguitate? Oppure perché l’ambiente in cui vivevano non permetteva loro un’alimentazione sufficiente alla sopravvivenza? Oppure per salvarsi da epidemie? Oppure?
Non ho elementi concreti a disposizione per dare una risposta certa. Certo è che l’argomento costituisce uno spunto interessante per una successiva ricerca.
Lo studio stesso del nostro dialetto potrebbe aiutare a trovare un collegamento con le località di origine dei nostri antenati, ed anche questo è un aspetto molto interessante.
I rogiti, datati a partire dal 1665, ci presentano una situazione presumibilmente iniziata almeno due generazioni precedenti, e ci conferma, come albori della colonizzazione, la data intorno al 1500. Dagli stessi rogiti ho potuto ricostruire una prima traccia dell’albero genealogico delle famiglie capostipiti di Civago. Da esso si evidenzia una notevole espansione demografica, nonostante le morti provocate dalla peste di manzoniana memoria, tra il 1630 e 1633.
Dall’analisi delle discendenze, si può notare come molte persone siano state costrette a trasferirsi altrove per sopravvivere, perché la nostra terra non era più in grado di sfamare tutte quelle bocche. Purtroppo questo fenomeno si è protratto nel tempo ed ancora oggi assistiamo, quasi impotenti, ad un progressivo ed inarrestabile spopolamento.
A differenza di quanto normalmente si è verificato per gli altri abitati, gli emigranti di Civago non avevano un punto di riferimento riconducibile ad una singola località. Li ritroviamo, infatti, in tutti gli stati europei ed anche oltre oceano: Stati Uniti, Argentina, Canada e persino in Australia.
Gli Istrumenti
Questi “Istrumenti” che documentano gli avvenimenti locali per un così lungo periodo, sono stati trovati nella soffitta di una casa posta in territorio di Civago. Essi coprono un arco di tempo, che va dal 25 ottobre 1665 sino al 9 gennaio 1797 e si compongono di ben 128 rogiti notarili, originali, regolarmente datati e tabellionati.
Tutti questi reperti sono stati catalogati mediante numerazione progressiva, in relazione alla data della loro stesura, onde facilitare la ricerca e limitare al massimo la loro manipolazione.
E’ risaputo che nei paesi ogni nucleo familiare è individuato con un soprannome. Quello della famiglia a cui appartengo è “chi dl’Abate”, cioè “quelli dell’Abate”.
Il nostro antenato, Joseph Caniparoli, è vissuto in quel gruppo di case, denominato appunto “Casa dell’Abate”, che si trovava ove è posta la partenza degli impianti sportivi invernali di Civago.
Sulla base dei manoscritti lasciati dallo stesso autore, in latino e italiano, si può certamente affermare che si tratti di persona molto erudita, una figura eccezionale, se inquadrata nel contesto territoriale e sociale di questo paese, quasi completamente analfabeta ad occupazione agro - pastorale. Egli insegnava lettere nelle scuole di Frassinoro e si compiaceva di disquisire se fosse cosa migliore celebrare la messa in italiano anziché in latino, precorrendo i tempi.
Esprimeva, inoltre, la sua opinione sull’opportunità di evitare vacanze troppo lunghe per gli studenti, sulla retorica e sulla metrica. Altri scritti, come la supplica alla E.V. R. per essere ammesso alla ordinazione del Suddiaconato, o quello relativo ai fondatori di Frassinoro, o la richiesta ad un amico per avere un cavallo in prestito, o quello in cui comunica ad un conoscente che è stato scelto per recarsi a combattere in guerra, meravigliano per le concrete, argute ed accademiche esposizioni.
Rimane attualmente inspiegabile ove questo abate Joseph Caniparoli abbia potuto apprendere queste così profonde cognizioni; forse presso il sacerdote di Civago, oppure in qualche seminario dei dintorni (Frassinoro?).
Quanto sopra riportato serve a comprendere le ragioni per le quali siano stati concentrati presso questo abate tanti Istrumenti.
Era, infatti, uno dei pochi abitanti, assieme al parroco, in grado di leggere e scrivere sia in italiano che in latino ed a lui si rivolgevano, fiduciosi, gli abitanti di Civago per un aiuto. Non nascondo l’emozione, come civaghino, che ho provato nello schedare, catalogare e tradurre questi scritti.
È un dato di fatto che i nostri figli non saranno più in grado di esprimersi nel nostro idioma dialettale e non sapranno dove si trova “Bora di Boione” o cosa sia una “traggia”, l’antenata del trattore.
Essendo i documenti più vecchi scritti in latino, la difficoltà iniziale è stata quella di decifrare tutte quelle arcane parola, senza essere uno storico di professione! Le considerazioni che avanzo e le traduzioni che presento sono solo ipotesi formulate alla luce di tutto il complesso di documenti ritrovati e consultati. Si è pensato, inoltre, di allegare solo parte dei documenti ritrovati per dare al lettore chiara ed esaustiva idea del contenuto e della forma.
Luogo di stesura degli Istrumenti
La maggior parte di questi sono stati stipulati presso l’abitazione dei vari notai, cioè Gazzano, Fontana Lucia, Piano dell’ Agochia (Piandelagotti). Non mancano però quelli redatti a metà strada, sulla via pubblica, tra l’abitazione del Notaio e quella dei rogitanti (Bora di Boione. Vedi n°15 e n° 32). Uno è stato stipulato addirittura in camera “cubiculare” in quanto il testamentario è a letto “indisposto alquanto di corpo” (n° 100), un altro sulla pubblica via e così recita:“io Notaio infrascritto Vicereggente, sedente e sedendo sopra una scranna di legno intrecciata di paglia, luogo eletto per mio legittimo tribunale” (n°57-n°62-n°94-da notare la roboante pomposità), un altro è stato stipulato in cantina (n°86).
Carta utilizzata
La carta utilizzata per la stesura degli atti, vista in controluce, mostra l’immagine scelta da ogni singolo notaio: ora l’alabarda, ora il giglio, ora la croce, ora la stella e altri simboli.
Il tabellionato
I tabellionati1 meritano un trattamento particolare per la loro peculiarità. Ogni atto redatto dal notaio Capelletti, ad esempio, riporta il suo distintivo disegnato a mano. Ne proponiamo alcuni, scelti per la loro singolarità e interesse.
Compravendita
La maggior parte dei documenti trovati interessa il passaggio di proprietà in relazione a terreni prativi, saldivi, boschivi e castagneti nonché di case, tegge, metati e piccoli capanni. Qualche rogito si discosta dalla ripetitiva esposizione. Il n° 10, datato 2/9/1678, riporta la vendita di terreno effettuato dalla Domenica Gaspari, vedova di Rocco Rubert, perché i suoi figli Jacopo di anni 2 e mezzo, Lucia di 10, Marco di 12, e Domenico di 15 vanno in rovina per fame. Il n° 49 tratta della vendita di una stessa pezza di terra da parte di Maddalena, in momenti successivi, a due diversi compratori. Il n° 65 riporta che la Maria Biondi è costretta a vendere una pezza di terra per causa di pagare roba commestibile datali dalla Comunità di Gazzano. Il n° 92 ci ricorda che la Domenica Vannucci, con grande dignità, è costretta a vendere i suoi beni onde poter onorare un debito contratto da suo figlio.
Doti
E’ la somma che il padre concede alla figlia da maritare. Importi anche sostanziosi che fanno presumere a cifre corrispondenti spettanti ai figli maschi. Importante è constatare che tale importo resta di proprietà della moglie per tutta la vita, ed il marito che incassa tale importo è costretto a garantire la consorte ipotecando i propri beni personali.
Molto spesso la dote è stata motivo di diatribe a causa del ritardato pagamento del relativo pattuito.
Censo
Molti rogiti hanno per oggetto il censo. Quando necessita denaro, si chiede un prestito e ci si impegna, in perpetuo, a versare una somma annuale stabilita, corrispondente al tasso dell’otto per cento. A garanzia del pagamento, si ipoteca un proprio terreno in modo da coprire l’importo totale ricevuto. E’ molto interessante il diritto che viene riconosciuto a chi riceve il prestito, consistente nella facoltà di poter affrancare in qualunque momento tale censo, liquidando l’importo corrispondente ad annualità 12 e mezzo, e liberando anche i vincoli imposti sui propri beni. Il censo può consistere anche nel versare annualmente (ed in perpetuo) un importo fisso, ad esempio, all’altare della Beatissima Vergine di Caravaggio eretto a S. Antonio di Castelnuovo Garfagnana, come risulta da rogito del 02/10/1749 n° 85.
Testamenti
Sono senz’altro gli scritti più belli, sebbene sostanzialmente ripetitivi. Denotano grande religiosità, e rispetto delle tradizioni e delle leggi. Solitamente il marito lascia i beni ai figli, ma con il vincolo dell’usufrutto alla moglie finchè è viva, alla condizione però che conduca vita vedovile onesta ed irreprensibile a suo onore.
La moglie tuttavia rimane proprietaria dei beni portati in dote, sui quali ha facoltà di disporne come meglio vuole.
Lavori pubblici
Riportiamo anche una distinta di giornate di lavoro, prestate dagli abitanti, per costruire il mulino, le maestà e per sistemare le vie pubbliche.
Procure
Molti sono gli atti che richiedono la Procura, obbligatoria per i soggetti che non hanno ancora compiuto 25 anni, considerati minorenni. Anche a quei tempi era compito predominante dei Notai salvaguardare i minori e garantirne vantaggi.
Stupro
Una breve annotazione storica, riconducibile a questo fatto, penso sia opportuno presentarla.
Il Codice Estense viene emanato da Francesco III, nel 1771. Lo stupro, avvenuto nel 1730, cade ancora sotto lo Statuto della Castellanza di Minozzo che prevede, per chi lo compie, la decapitazione oppure 100 soldi di ammenda se il fatto è avvenuto “senza violenza”. L’accordo intervenuto, fra la Maria e Matteo, fa pensare che sia stato rubricato sotto questo secondo titolo. Occorre inoltre ricordare che Domenico, fratello di Matteo, in quel periodo è il personaggio predominante nel paese. A conferma, troviamo suo figlio Pietro come massaro, cioè capo della comunità di Gazzano in data 24/2/1758 come da atto n° 92. Se a questa circostanza aggiungiamo il grado di parentela tra le famiglie, la presenza del fratello della Maria, il sacerdote Don Domenico, e la obbiettiva imbarazzante situazione, non rimane altra alternativa che giungere ad un pacifico e sbrigativo accordo per mettere a tacere il tutto.
Misurazione della compra - vendita
Non esistendo catasto, l’area viene delimitata dal nome del posto e dal nome dei confinanti, nonostante si parli di tavole, biolche, quartari ma soprattutto di “quantasivoglia” per indicarne la superficie a corpo.
Corrispettivo
Normalmente il prezzo era quantificato in ducatidi Reggio valevoli 7 zecchini e 15 soldi, ma venivano accettati, come transazione, anche ducati di Modena, zecchini di Fiorenza, bolognini, scudi, filippi e perfino “libbre di formaggio di ovino opportunamente stagionato”.
Località interessate
Numerose sono le località che tuttora mantengono le denominazioni riportate negli Istrumenti. Tra queste vengono menzionate: i Caniparoli, case di Bertolotto, la Costarsa, Ronco Grande, Buona Teggiola, il Dosso, gli Scorzari, ai Roncadelli, i Felegeti, il Pozzolo, Cà dei Comastri, quello di Andreino, alla Borella, le Lame piane, quel di Bernardo, alla Paesina, ai Marginelli, Case Nataloni ed altri ancora.
La Podesteria
Si trovava a Minozzo, ma Gazzano è stato Comune sicuramente fino al 1710, così pure Muschioso (n°43) della Podesteria di Monte Fiorino, fino al 1723.
Notai
I primi Istrumenti in nostro possesso sono stati stilati dal notaio Paolo Cappelletti da Gazzano, in lingua latina, dal 1665 sino al 1709, ad eccezione di uno, scritto in italiano, datato 18 novembre 1686 (n°13). Successivamente si sono alternati altri notai e la lingua italiana viene adottata definitivamente a partire dal 1740.
“Banca” di Civago
A Civago la famiglia Caniparoli ha sempre avuto una posizione dominante e di privilegio divenendo anche un riferimento come banca.
In quasi tutti gli atti stipulati da questa famiglia, i venditori usano i termini di “retrodiede”, “retrovendette”, seguiti sempre dalla stima dei terreni espletata da persone di riguardo, come sacerdoti, sergenti, caporali, agrimensori e comunque scelte da entrambi i contraenti.
Anche il pagamento risulta espletato prima della stesura del rogito.
Chi necessita di prestiti si rivolge a questa famiglia, ipotecando, a garanzia, i propri terreni. Alla scadenza, qualora non siano in grado di restituire l’importo ricevuto, cedono il terreno che però, attenzione, viene valutato equamente dagli estimatori. Inoltre viene riconosciuta la facoltà di riscatto per lo stesso importo evitando l’usura.
Una storia di famiglia importante
Passo ora a riassumere la storia, fantastica e tragica, di una famiglia e di una dote, in quanto ritengo sia emblematica della situazione sociale ed economica vigente in quei tempi. Il racconto è preceduto, per maggior chiarezza, con riferimento alle genealogie allegate. Domenico Caniparoli (n°5) ha cinque figli: (n°16) Matteo, (n17) Pietro, (n°18) Gian Domenico, (n°20) Giovanni e (n°19) Lucia.
Giovanni Comastri (n°15) ha quattro figli: (n°16) Franca, (n°18) Maria, (n°19) Domenico e (n°17) Giovanni Matteo. Dal matrimonio tra la Lucia e Giovanni Matteo nascono (n°20) Gian Domenico e (n°21) Caterina.
Dall’atto n° 71, stipulato in data 12/12/1744, (testamento di Domenico del fu Pietro Canenaroli), appaiono espresse le sue ultime volontà, e tra queste lascia alla figlia Lucia, oltre ai panni ed arredamenti, ducatoni 400 a titolo di dote.
Dall’atto n° 73, stipulato in data 8/4/1746, la Lucia Caniparoli, prossima alle nozze con Giovanni Matteo Comastri, in rispetto degli accordi presi, riconosce che tale dote deve essere liquidata a matrimonio contratto, ma Lucia stessa chiede che venga anticipata a prima delle nozze perché, dice, di averne urgente necessità. Occorre far notare che si tratta dell’importo di gran lunga più consistente riscontrato in tutti gli Istrumenti raccolti e questo dà l’idea della posizione privilegiata della famiglia Caniparoli. Nel contempo è deceduto suo padre.
Dall’atto n° 85, stipulato in data 2/10/1749, Giovanni Matteo Comastri dà incarico a Pietro Caniparoli, fratello di Lucia, già sposa, di saldare un censo che Giovanni Matteo Comastri tiene con il Venerabile Altare della Beatissima Vergine di Caravaggio, eretto nel territorio di S. Antonio di Castelnuovo di Garfagnana. Tale importo ammonta a ducatoni 45 ed il suo saldo viene considerato come acconto relativo alla dote dovuta a sua sorella Lucia.
Dall’atto n° 86, stipulato in data 22/10/1749, risulta che Giovanni Matteo Comastri ha ricevuto da Pietro del fu Domenico Caniparoli la somma di ducatoni 40 lasciati da Paola, vedova di Domenico e madre di Lucia. Vengono inoltre consegnate due vaccine, valutate ducatoni 41, anche queste come acconto di dote.
Dall’atto n° 90, stipulato in data 2/12/1754, Gaspari vende al Maggiore Pietro Caniparoli che acquista e trasferisce a Giovanni Matteo, in acconto per il pagamento della dote che deve a sua sorella Lucia, nel contempo deceduta, per un importo di ducatoni 120. Il marito Giovanni Matteo dovrà tenere, salvare e custodire dette terre a favore dei di lui eredi e precisamente a favore di (n°20) Gian Domenico e (n°21) Caterina.
Dall’atto n° 93, stipulato in data 13/12/1758, risulta una distinta di beni lasciati in eredità dalla fu Lucia Caniparoli, sposa di Giovanni Comastri, nel frattempo deceduto, e consegnati a Gian Domenico e Caterina dal nonno Giovanni Comastri. I bambini rimasti orfani vengono accuditi dallo zio Gian Domenico Caniparoli.
Dall’atto n° 95, stipulato in data 15/5/1759, risulta che Pietro e Gian Domenico Caniparoli, per onorare l’impegno per la dote della sorella fu Lucia, cedono ai nipoti Gian Domenico e Caterina Comastri diverse pezze di terra per un valore complessivo di ducatoni 173 come da stime effettuate da persone probe e competenti.
La somma dei suddetti acconti, supera i ducatoni 400 stabiliti, a completamento degli impegni presi, ed inoltre gli zii trasferiscono ulteriormente altre terre di valore non quantificato.
Quanto sopra è il “succinto resoconto”degli avvenimenti, verificatisi nel periodo di soli quindici anni, relativi alla drammatica storia, vissuta in quel contesto familiare e sociale, da Lucia Caniparoli e Giovanni Matteo Comastri.
Questi documenti sono una “fotografia” dettagliatissima di quegli avvenimenti.
Pur essendo tutti gli atti tradotti in italiano, sono stati selezionati alcuni Istrumenti riguardanti: censo, compravendita, dote, procura, testamenti, altri relativi a curiosità e persino uno relativo ad uno stupro.
Per ragioni editoriali ne abbiamo scelti solo alcuni come esempio. Gli originali rimangono a disposizione di tutti gli interessati presso il centro visita del Parco del Gigante. Sono particolarmente gradite ulteriori testimonianze documentarie, segnalate e messe a nostra disposizione per ulteriori studi.
Sento l’obbligo di ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla ricerca dei vari documenti con lo scopo di farli conoscere. In particolare: Graziano Gigli, Siro Caniparoli, Arcero Secchi e Mario Testoni.
(1) Nel medioevo il tabellionato era la sigla personale apposta dal notaio sugli atti per garantirne l’autenticità. Qui è da intendersi come marchio o timbro.
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Nota: Sebbene ogni atto porti un qualcosa di peculiare che lo distingua dagli altri, ritengo opportuno consigliare una graduatoria per la lettura di quelli più importanti, suddividendoli anche per categoria.
(tranne i documenti testamentari, sono tutti riferiti ai Documenti Casa dell'Abate)
Censo: N° 2-5-85.
Compravendita. N°1-7-21-49-92-114.
Dote. N° 4-15-23-73-86-90-95-103.
Procura. N° 10-47-48-54.
Testamento. N° Siro 2-31-45-71-93-100-109.
Stupro. N° 46.
Messe. N° 102
Lavori Pubblici. N° 105-115.
Lite. N° 113
Divisione. N° 94
Curiosità. N°119-120-121-122.
Compravendita. N°1-7-21-49-92-114.
Dote. N° 4-15-23-73-86-90-95-103.
Procura. N° 10-47-48-54.
Testamento. N° Siro 2-31-45-71-93-100-109.
Stupro. N° 46.
Messe. N° 102
Lavori Pubblici. N° 105-115.
Lite. N° 113
Divisione. N° 94
Curiosità. N°119-120-121-122.