Vegetazione e foreste

L'alto Appennino era ammantato da grandi foreste di cui rimane menzione in numerosi documenti medievali: le antiche carte accennano ripetutamente alla «Selva romanesca», che si sviluppava su una vasta porzione di territorio reggiano e modenese; raffermarsi dell'agricoltura e l'estendersi dell'insediamento umano nell'alta montagna ridusse progressivamente la superficie delle selve; la scomparsa dei grandi mammiferi, quali l'Orso ed il Cervo, attesta come già al principio del XVII sec. il territorio avesse subito notevoli trasformazioni. Fioritura primaverile nelle praterie  intercalate dai faggi (foto Marco Fontanesi)
Lo sfruttamento massiccio delle risorse forestali appen-niniche si afferma tuttavia soltanto nel XIX e agli inizi del XX sec. Alcune zone forestali furono tuttavia sfruttate anche nei secoli precedenti: le conifere della Abetina Reale (ampia zona boschiva situata nell'alta vai Dolo) vennero infatti utilizzate nella costruzione delle «fabbriche estensi»; negli stessi anni i Granduchi di Toscana allargarono l'antica via delle Forbici per rendere più agevole il trasporto dei legnami provenienti dall'alta vai Dolo. Sotto il regno di Francesco IV e Francesco V fu attivata una segheria all'interno dell'Abetina: il legname era condotto a valle tramite fluitazione. I duchi Estensi tentarono di valorizzare il patrimonio forestale appenninico dandone incarico a maestranze trentine: le cronache tramandano i nominativi dei funzionari cui venne delegato il compito di sopraintendere, tra gli altri, al «Bosco Reale» di Cerreto Alpi; alcuni di questi introdussero specie forestali pregiate quali il Peccio, che diede tuttavia scarsi risultati. Dell'antico tentativo ducale rimane forse memoria in alcuni esemplari secolari di Abete rosso che si innalzano all'interno delle faggete cedue circostanti la conca del lago Prada. Lo sfruttamento su ampia scala delle risorse forestali dell'alto Appennino reggiano divenne una realtà soltanto con l'unità d'Italia: ditte specializzate procedettero ad estesi disboscamenti, che si ampliarono ulteriormente nel corso del primo conflitto mondiale. Risale a questi anni la costruzione di una piccola ferrovia a scartamento ridotto, appositamente adibita al trasporto del legname; il manufatto, della lunghezza di circa 16 km, aveva inizio nei pressi dell'abitato di Quara e raggiungeva le falde settentrionali del m. Cusna, passando per Gova, Novellano ed Asta.
Al taglio delle faggete della val d'Asta e della val d'Ozola parteciparono oltre 1200 addetti, la metà dei quali prigionieri di guerra austro-ungarici.
Il legname era trasportato per ferrovia sino a Gova; in quest'ultima località venne apprestato uno scivolo che immetteva i tronchi direttamente nel t. Dolo, al fine di sfruttarne le acque per la fluitazione sino in pianura. La ferrovia fu utilizzata per l'ultima volta in occasione del terremoto che colpì l'alto Appennino nel settembre 1920.
Ulteriori disboscamenti vennero attuati nel corso dell'ultimo conflitto e negli anni immediatamente successivi.
Ancora negli anni '50 nelle località situate alle quote più elevate era possibile incontrare fustaie di faggi ultra secolari. Le più belle tra queste facevano da corona alla conca di origine glaciale delle sorgenti del Secchia e si stagliavano in prossimità del passo di Pradarena. (Foto Giuliano Cervi)
Attualmente, invece, il più cospicuo patrimonio forestale è concentrato nell'alta val d'Ozola, in corrispondenza dell'omonima faggeta ad alto fusto. In questa zona è ancora oggi visibile il tronco residuo di un grande faggio, localmente denominato «faggio regina», che per dimensioni era da annoverarsi tra le più spettacolari alberature appenniniche. Questo esemplare monumentale è andato distrutto nel corso di un fortunale occorso alcuni anni fa. Al degrado del patrimonio forestale dell'alto Appennino ha contribuito notevolmente l'intensa attività dei carbonai, cui si fa cenno in altra parte di questo stesso volume. Ancora oggi nell'interno delle faggete si incontrano centinaia di piazzole con rilevato in pietra, erette dai carbonai per realizzarvi il «cumulo del carbone». L'attività dei carbonai non ha risparmiato nemmeno le località più aspre e di difficile accesso, che venivano raggiunte attrezzando apposite mulattiere. Il carbone di legna, ancora richiesto nel primo dopoguerra, andò scemando di interesse alla fine degli anni '50; a partire da questi anni diminuì progressivamente anche lo sfruttamento del bosco per la produzione di legnatico e paleria.
A differenza della faggeta appenninica il castagneto è stato oggetto di assidue cure sino a periodi relativamente recenti; le pratiche forestali si limitavano alla ripulitura dei tronchi ed alla loro disinfestazione, che era spesso ottenuta tramite la fumigazione delle cavità interne. Particolare attenzione era rivolta anche alla eliminazione delle piante infestanti ed al contenimento di altre specie arboree spontanee, sempre tendenti ad invadere il castagneto.

(Marco Fontanesi, Vegetazione e flora, dal volume Alto Appennino reggiano, Cassa di Risparmio, Reggio Emilia 1987)