La partenza del boscaiolo di Giovanni Pascoli

La scure prendi su, Lombardo,
da Fiumalbo e Frassinoro!
Il vento ha già spiumato il cardo,
fruga la tua barba d'oro.
Lombardo, prendi su la scure,
da Civago e da Carù: (*)
è tempo di passar l'alture:
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Più fondo scavano le talpe
nelle prata in cui già brina.
E` tempo che tu passi l'Alpe,
ché la neve s'avvicina.
Le talpe scavano più fondo.
Vanno più alte le gru.
Fa come queste, e va pel mondo:
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Per le faggete e l'abetine,
dalle fratte e dal ruscello,
quel canto suona senza fine,
chiaro come un campanello.
Per l'abetine e le faggete
canta, ogni ora ogni dì più,
la cinciallegra, e ti ripete:
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Di bosco è come te, la cincia:
campa su la macchia anch'essa.
Sa che, col verno che comincia,
ti finisce la rimessa.
La cincia è come te, di bosco:
sa che pane non n'hai più.
Va dove n'ha rimesso il Tosco:
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Le gemme qua e là col becco
picchia: anch'essa è taglialegna.
Nel bosco è un picchierellar secco
della cincia che t'insegna.
Col becco qua e là le gemme
picchia al mo' che picchi tu.
Va, taglialegna, alle maremme...
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Ha il nido qua e là nei buchi
d'ischie o d'olmi, ove gli garba;
e pensa forse a que' tuoi duchi,
grandi, dalla lunga barba.
Nei buchi erbiti dove ha il nido,
pensa al gran tempo che fu;
e getta ancora il vecchio grido:
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Un'azza è quella con cui squadri
là, nel verno, il pino e il cerro;
con cui picchiavano i tuoi padri
sopra i grandi elmi di ferro.
Tu squadri i tronchi, ora; con l'azza
butti le foreste giù.
Va ora senza più corazza...
tient'a su! tient'a su! tient'a su!
Rimane nella valle il canto.
Sono ormai, le cincie, sole.
La scure dei lombardi intanto
lassù brilla contro al sole.
E sempre il canto che rimane,
giunge in alto alla tribù,
che parte a guadagnarsi il pane:
tient'a su! tient'a su! tient'a su!

Giovanni Pascoli
 
 
(*) Ho apprezzato molto il vostro sito, che mi ha fatto tornare agli anni dell'infanzia e della prima giovinezza. Ho notato, tuttavia, una imprecisione nella poesia "La partenza del boscaiolo" del Pascoli: voi vete trascritto "... da Civago e da Carù..."; OK: i due toponimi sono corretti (noi che siamo cresciuti all'ombra della Penna e siamo saliti più volte sul Cusna lo sappiamo); tuttavia il poeta ha commesso un errore forse non ricordava bene o forse si è trattato di un refuso...chissà!?!)... ma il testo originale della poesia recita: "... da Civago e da Cerù...". Ora, mi chiedo: è lecito correggere l'evidente errore (ma solo per noi, non per la maggior parte di coloro i quali conoscono - e magari a memoria - la poesia in questione) del romagnolo vate o è necessario "dare a Giovanni ciò che è di Giovanni" e, di conseguenza, lasciare inalterato il testo scaturito dalla sua ispirata penna? Lascio a voi l'onere della risposta.

Un caro e affezionato saluto
prof. Antonio Cattalini