Lo sci a Civago - 1

a cura di Graziano Gigli

Per comprendere le ragioni della diffusione dello sci a Civago, è necessario calarsi nel contesto di disagio economico, di isolamento e di arretratezza in cui si trovava il paese nel dopoguerra: non c'era la strada carrozzabile e l'unico segno di modernità e di collegamento col resto del mondo era rappresentato dalla televisione del bar, trasportata con una portantina, come la statua della Madonna Pellegrina.


All'apparire dei primi sci, i civaghini si resero immediatamente conto che con quegli attrezzi era possibile affrontare in maniera più veloce i collegamenti con gli altri paesi, il comune e l'ospedale. La pratica dello sci in origine non nacque perciò come attività sportiva, ma piuttosto come mezzo di collegamento in caso di copiose nevicate, tanto che anche la posta si avvaleva di questo mezzo. Nei giovani del paese la voglia di gareggiare e confrontare la propria abilità fu la naturale conseguenza all'uso quotidiano dei nuovi attrezzi e iniziarono le prime sfide, spinti dal desiderio di primeggiare sugli altri e di mostrare coraggio e destrezza per far colpo sulle ragazze. E francamente data l'attrezzatura e le piste di quei tempi di coraggio, o se vogliamo d'incoscienza, ne serviva veramente, perché il rischio d'infortuni era molto alto. Il gusto della competizione e la sensazione di volare che regalavano gli sci erano poi alla portata di tutti, dato che gli attrezzi erano "fatti in casa". Man mano che lo sci di fondo si diffondeva come pratica sportiva, per la propria citata funzione di trasporto, iniziava anche la pratica dello sci alpino che, col miglioramento del tenore di vita degli anni seguenti, divenne la disciplina più praticata.
(foto di copertina - Ca'nova di Civago 1950: n.7 Romiti Stefano - n.3 Franco Fioravanti - n.1 Monti Vittorio - n.2 Marchi Nino - n.5 Gigli Ilio - n. 9 Pasquale Fontanini - n.8 Angelo Gigli - n.10 Medici Carlo - n.4 Gigli Benito; nella foto non compaiono: Manattini Elio - Angelo Monti - Gigli Anselmo)

1. Muoversi sulla neve
II primo mezzo conosciuto per affrontare le nevicate del nostro Appennino Tosco-Emiliano, permettendo di "galleggiare" sulla neve, fu la famosa racchetta da neve, chiamata in dialetto "squarciun" quasi a dimostrare come quello fosse l'unico sistema possibile per aprirsi un varco, squarciando la coltre bianca. I nostri "squarciun" erano di forma generalmente rotonda, più raramente ovale, e il loro diametro si aggirava sui 30 cm. Erano formati da un cerchio in legno di faggio ricavato dalle "cascine", i recipienti per la forma di formaggio pecorino, e, nel centro di questo cerchio, erano tese una serie di corde intrecciate, nei due sensi, che arrivavano a legare il piede e ,che, fissate al cerchio mediante dei fori, permettevano l'aggancio.
Per quanto concerne i mezzi trasporto, il precursore fu invece la slitta, la cui origine nelle nostre zone si può far risalire alla prima metà del secolo scorso, anche se la forma si andò man mano modificando e si aggiunsero preziosi accessori, quali i freni. La slitta veniva largamente impiegata nel trasporto del legname da riscaldamento, soprattutto per portarlo alle strade di comunicazione, da dove partiva per raggiungere le città. Oltre al trasporto della legna, l'impiego della slitta rivestiva un ruolo primario anche in agricoltura: per portare il concime nei campi, per il fieno e per i mangimi degli animali domestici, a loro volta utilizzati per trainare la slitta carica, in salita. Insostituibile, anche se attrezzata in modo diverso, poi nella funzione di trasporto dei sassi e delle pietre per la costruzione delle abitazioni.
Non sappiamo se i nostri antenati civaghini abbiano mai ideato un rapido mezzo di locomozione per interrompere il lungo isolamento che, nei mesi invernali, con le abbondanti nevicate, regolarmente li allontanava ancora più dal resto del mondo, ma siamo certi che più d'uno di loro si sarà posto tante volte questo problema, che diventava drammatico nei ricorrenti casi di ammalati gravi.

2. Il primo paio di sci
Lo sci, sport relativamente recente, cominciò a diffondersi in Piemonte nel primo decennio del secolo scorso e veniva esclusivamente praticato dai giovani nobili torinesi, anche se le autorità militari scoprirono presto in esso un nuovo mezzo di collegamento, rapido e prezioso, soprattutto in considerazione della difesa dei confini nazionali e della accidentata conformazione della catena alpina. Nel 1924 Leonardo Gaspari della Romita di Civago, venne chiamato a prestare il servizio militare negli Alpini, come guardia di frontiera sul confine francese a Bardonecchia, culla dello sci in Italia. Durante quel periodo, Leonardo non solo apprese la tecnica dello sci, ma vi si dedicò con passione tale che nel volgere della stagione invernale raggiunse un livello così alto da meravigliare i propri superiori e da strabiliare addirittura i compaesani al suo ritorno, che mai avevano visto nulla e nessuno volare a quel modo sulla neve. Leonardo quindi, col suo eccellente bagaglio tecnico, fu il padre fondatore dello sci a Civago; è stato accertato che d'inverno andava a mungere le vacche alle Paesine per poi affrontare la ripidissima discesa dei Margini con un solo bastoncino in una mano e nell'altra un secchio pieno di latte. L'inverno successivo si accinse poi a costruire il primo paio di sci, coadiuvato dal fratello Pellegrino detto "Pigo", ma anche gli amici, interessati a questi strani attrezzi, ne seguono la fabbricazione con partecipi consigli. Il primo come il secondo paio non riuscirono secondo le aspettative, ma alla Romita non si dettero per vinti, spronati anche dal fatto che tutti erano ormai a conoscenza del progetto, al terzo tentativo i fratelli Gaspari centrarono finalmente il bersaglio: nell'inverno 1926 erano pronti i primi sci costruiti nella Valle del Dolo.

3. Un manipolo di precursori gara di fondo 1953 - Amelio Valpiani
Dalla prima produzione casalinga, parte la rapida diffusione dello sci a Civago e nei paesi vicini, raggiungendo in due-tré anni una notevole popolarità, alla quale si affianca una discreto progresso tecnico: i migliori sciatori di quel periodo, oltre a Leonardo Gaspari (il maestro), erano Delfo Romiti, Mario Valpìani, Angelo Caniparoli e Mario Cecchini che facendo il guardaboschi nella tenuta dell'Armenti all'Abetina Reale era costretto molte volte a fare uso degli sci per ragioni di lavoro. In questo periodo venivano lanciate le prime sfide, sia nell'affrontare ripide discese, sia per la percorrenza di lunghi tragitti alla fine dei quali veniva proclamato vincitore il primo ad arrivare, anche se non esisteva una vera classifica.
Durante il periodo della seconda guerra mondiale, naturalmente, l'evoluzione e la diffusione dello sci conobbero un periodo di arresto, tuttavia valligiani e partigiani si servirono di questo mezzo per tenere i collegamenti nei periodi invernali.

4. L'equipaggiamento
II basso tenore di vita dell'immediato dopoguerra non consentiva alle nostre popolazioni di attrezzarsi presso le aziende produttrici del necessario per la pratica dello sci, perciò a questo inconveniente si iniziò a supplire con il fai da te: per gli sci si adoperava il legno, di faggio, frassino o castagno selvatico, lavorato dal falegname per ottenere le assi (il pagamento dell'opera era rappresentato da una fornitura di legno doppia di quella utilizzata per realizzarle), con il nocciolo si facevano i bastoncini, corredati da due strisce di cuoio per le impugnature e due puntoni in ferro per la parte terminale. Anche gli attacchi erano costruiti con mezzi di fortuna: due pezzi di lamiera piegata, quattro viti, cinturini di cuoio con relativa fibbia e infine scarponi da montagna (quando non si trattava di zoccoli). Con questo equipaggiamento mettersi gli sci era un operazione per nulla scontata, che richiedeva la massima concentrazione e una forte pressione per infilare lo scarpone nella staffa: si piegavano le gambe all'indietro per farle scattare poi rapidamente in avanti, se la mira era sbagliata il risultato era quello di provocare un taglio nello scarpone. Pianelli della Romita marzo 1954 - Campionato provinciale CSI
L'abbigliamento del nuovo sciatore era anche uno sfoggio di modernità: maglioni di lana colorati (fino ad allora di colori non se ne vedevano), berretti e guanti sempre di lana ma in tinta col maglione e il mitico pantalone alla finlandese che finiva dentro lo scarpone. Tutti i capi di abbigliamento erano confezionati dalle ragazze del paese, perché anche loro volevano essere partecipi di questo nuovo modo di vestirsi e di divertirsi.
In questo periodo gli atleti non conoscevano la specializzazione e quindi passavano dal fondo alla discesa con la massima naturalezza, usando, ovviamente, lo stesso paio di sci. I risultati delle sfide tra amici però cominciarono ad indicare le attitudini dei vari atleti per le discipline alpine o per quelle nordiche. Questo sarebbe diventato il primo passo verso la specializzazione; negli anni a seguire ogni sciatore avrebbe dovuto decidere di impegnarsi in una sola specialità: l'atleta che faceva nello stesso giorno (come il sottoscritto) tre gare diverse (fondo, discesa e salto) sarebbe stato costretto a finalizzare la preparazione a una sola disciplina, per poter ottenere risultati agonistici di rilevo, e, soprattutto, aggiornare sia l'attrezzatura sia la tecnica sciistica, che nel periodo registrarono un cambiamento radicale.

5. Colpi di scena e grande pathos: la prima competizione Sestola anni 60 - salto della strada in discesa libera
Nel febbraio 1950 finalmente le competizioni improvvisate tra paesani evolvettero verso una vera e propria gara di fondo a categoria unica, cui parteciparono anche atleti dei paesi vicini e che utilizzò, eccezionale per quei tempi, l'altoparlante del cinema. Il tracciato, piuttosto inusuale per una gara moderna, prevedeva la partenza dalla piazza del paese a 1016 mt., la salita fino ai 1550 mt. di quota di Prato Grande e la discesa a precipizio sull'arrivo, situato alla Ca' Nova. Al traguardo arrivò per primo Angelo Gigli da Case Nataloni che, pur essendo partito con uno degli ultimi pettorali, lungo la massacrante e lunghissima salita riuscì a raggiungere e superare uno dopo l'altro tutti gli avversari, giungendo in testa già a Prato Grande. Nella discesa, usando i bastoncini "a raspa", ossia in mezzo alle gambe, finì per spezzarli entrambi: per niente scoraggiato, si avvicinò ad una siepe dalla quale prese due paletti e, impugnandoli come bastoncini, tagliò vittorioso il traguardo, precedendo nell'ordine Pasquale Fontanini e Carlo Medici, entrambi dei Casoni di Fontanaluccia.
I  giovanissimi, che non erano stati presi in considerazione per il grande evento agonistico, decisero di organizzare in proprio, per la domenica successiva, una gara riservata ai ragazzi tra i 9 e i 12 anni. Siro Caniparoli si assunse il compito di fare il cronometrista, quanto ai premi venne stabilita una quota d'iscrizione di lire 10 a testa, il cui valore commutato in caramelle sarebbe poi stato suddiviso tra i primi. Venne quindi sorteggiato l'ordine di partenza e subito nacque una discussione: il concorrente che sarebbe dovuto partire per ultimo rifiutava categoricamente la posizione assegnata sostenendo che se fosse partito in coda sarebbe anche necessariamente arrivato col tempo peggiore, si decise quindi di invertire l'ordine di partenza e finalmente si potè dare il via alla competizione. Pianelli della Romita 1955 - Ugo Da Pra
II primo concorrente, finalmente soddisfatto dell'ordine di partenza, scattò con grande impeto, ma, dopo dieci metri era già fermo, infatti le cinghie e i pezzi di spago che avevano il difficile compito di tenere le scarpe attaccate agli sci, non ressero alla violenta partenza, risultando danneggiati in modo irreparabile. Dopo aver lanciato una lunga serie di imprecazioni all'amico che, gratis, gli aveva prestato gli sci, si rivolse all'organizzazione chiedendo l'immediata restituzione delle sue dieci lire di iscrizione, peraltro ottenendole per amor di pace.
Successivamente la gara si svolse in apparente regolarità e vide all'arrivo nell'ordine: Giancarlo Romiti, Egidio Gigli, Guido Gigli, Graziano Gigli, Graziano Sghedoni, Giorgio Cecchini, Dorino Monti, Luigi Gigli, Valentino Gigli e Franco Monti. A premiazione avvenuta, nelle chiacchiere di commentano alla gara, i primi due classificati, candidamente, dichiararono che il loro vantaggio avrebbe potuto essere maggiore se non avessero perso tempo nello scavalcare un reticolato; si scoprì così che il percorso era stato accorciato, in buona fede, di ben 500 metri. Attraverso queste manifestazioni pionieristiche crebbe l'interesse attorno alla disciplina dello sci e cominciarono a tenersi competizioni in molti paesi, seguite da un pubblico curioso.

6. Una vera organizzazione ...'85
Nell'inverno '50/'51 una gara di fondo, singola o in staffetta, sulle varie distanze, venne disputata in ciascuno dei seguenti paesi: Civago, Piandelagotti, Fontanaluccia e Cervarolo, mettendo in evidenza la superiorità degli atleti di Piandelagotti, che, oltretutto, disponevano di migliore attrezzatura, ma dimostrarono anche la rapida crescita dello sci a Civago. Nel 1952 il gruppo degli sciatori civaghini costituisce lo SCI CLUB LUPI DELLA MONTAGNA DI CIVAGO, affiliandosi al C.S.I. di Reggio Emilia. Ed è proprio ad una gara regionale C.S.I. a Sestola nel 1952 che per la prima volta i nostri atleti parteciparono ad una competizione fuori dal circondario.

7.  ...'85 salvo in caso di trasferta Appenninia 1970
I risultati della gara di Sestola furono appena discreti e pertanto gli sciatori decisero di ripartire al più presto per rientrare a casa in serata. Salirono sulla corriera ma, arrivati a Pievepelago, ebbero la sgradita sorpresa di non trovare il pullman per arrivare a Piandelagotti. Dopo un rapida e grave consultazione sul da farsi, cominciarono a guardarsi nelle tasche, dove, peraltro, già sapevano di trovare ben poco: tra Marchi Nino, Ilio Gigli, Anselmo Gigli e Franco Fioravanti non riuscirono a racimolare la misera somma di 1.000 lire, comunque insufficiente anche per un solo pernottamento a Pievepelago.
Decisero quindi di partire con gli sci ai piedi per coprire i ben ventisette chilometri che li separavano da casa, una percorso molto lungo anche per chi non avesse già speso le energie migliori in gara e non iniziasse già a sentire la fame. Dopo parecchie ore arrivano in piena notte a Casa dell'Abate di Civago, dove vennero rifocillati prima di giungere alle rispettive case. Uno di loro, alla domanda di quanta fatica avesse fatto, rispose che aveva si faticato in salita, tanto da pensare di non farcela, ma che, iniziata la discesa, se l'era presa comoda per un lungo tratto, perché essendo caduto a sedere e non aveva avuto più la forza di rialzarsi, ne aveva affrontato buona parte in quella posizione.
I campionati provinciali di fondo del 1952 si disputarono in Valle dell'Ozola a Ligonchio e per quella gara partirono Anselmo Gigli, di 18 anni, Franco Fioravanti, di 16 e Graziano Sghedoni di soli 11; giunti a Piandelmonte per prendere la corriera, appresero con disappunto che, tanto per cambiare, non c'erano coincidenze per arrivare a Ligonchio. I nostri si avviarono allora a piedi, senza pesare che c'era da aprirsi la strada nella neve fresca in mezzo ai boschi e, soprattutto, che con loro c'era un bambino. Dopo un cammino di indicibile fatica arrivarono stanchi e affamati alla meta, dove vennero immediatamente accolti, asciugati e ristorati dal parroco di Ligonchio presso il quale passarono anche la notte. La giornata successiva era prevista la gara, e, considerate le peripezie del viaggio, i civaghini non godevano certo del favore del pronostico, ma, in barba alla faticosa marcia forzata del giorno precedente, ottennero risultati brillanti: Anselmo arrivò terzo, Franco secondo e nella categoria ragazzi Graziano trionfò, infliggendo distacchi abissali: il secondo arrivato era a oltre 4 minuti in soli 3 Km. di gara.
Questa impresa contribuì notevolmente a fare conoscere lo Sci Club Lupi della Montagna, che si andava ammodernando anche nei materiali, dato che era di questo periodo l'adozione degli sci da fondo di fabbrica, coi relativi attacchi a zeta. Cambiando l'attrezzatura, di conseguenza anche la tecnica venne modificata, per tenere il passo con le innovazioni.

8. Giocare in casa
Nel Marzo 1954 si disputarono per la prima volta a Civago i campionati provinciali C.S.I. di fondo e discesa: lo Sci Club Lupi della Montagna fu il mattatore delle competizioni aggiudicandosi tutti i titoli provinciali: Ilio Gigli nella Discesa Senior, Anselmo Gigli nel Fondo Senior, Franco Fioravanti in Discesa e Fondo Juniores e Graziano Gigli in Fondo e Discesa Campanili Alpini (anche se nella gara di fondo si avvantaggiò dell'uscita del compagno di squadra Graziano Sghedoni per rottura degli attrezzi).

9. Sprezzo del pericolo
I regolamenti delle gare ancora non esistevano e tanto meno il tracciato dei percorsi di discesa, per i quali ci si limitava ad indicarne la partenza e l'arrivo, pertanto c'erano atleti che compensavano egregiamente le lacune tecniche con il coraggio, la strategia
o semplicemente la sconsideratezza. Uno di questi era senza dubbio Mario Gaspari, imbattibile sulla già citata ripidissima discesa dei Margini, uno schuss di 700 metri a strapiombo sulla Romita, poiché, non essendo in grado di governare gli attrezzi su un percorso tale, si gettava a capofitto nella discesa e, a metà, si gettava a terra in una caduta programmata dalla quale rapidamente si rialzava vincendo regolarmente poiché, contrariamente a tutti gli altri, non curvava e non frenava mai.

10. Confrontarsi con le altre province

Nel gennaio 1955 la Fisi organizzò il Campionato Emiliano dei "Bocia" al quale lo Sci Club Lupi partecipò, per la prima volta in campo regionale, con un discesista, Marcello Marchi, e tre fondisti, Graziano Sghedoni, Graziano Gigli e Giancarlo Romiti. Come esordio nel circuito i risultati furono lusinghieri: il titolo venne conquistato da Graziano Sghedoni, 4° piazza per Giancarlo Romiti e 6° per Graziano Gigli, che, nel superare un concorrente caduto davanti a lui ruppe la punta di uno sci e pertanto decise di ritirarsi, poi però ricordando che il regolamento prevedeva il pranzo gratuito per tutti
i concorrenti che concludevano la gara, cambiò idea e rimise gli sci per tagliare il traguardo. Al ritorno a Civago il Presidente Sghedoni arrivò sventolando il giornale che riportava il titolo "I lupi della montagna di Civago sconvolgono a Pavullo i pronostici della vigilia".
II dominio incontrastato nel fondo dei civaghini durò fino alla fine degli anni '50 ed i migliori atleti furono: Dorino Monti, tra i migliori in campo regionale, Piero Gaspari, Luigi Gigli e nelle categoria juniores Adriano Romiti che, nella sua ultima stagione da fondista, prima di passare alla discesa, concluse al terzo posto la gara regionale alle spalle degli amici e futuri azzurri Tonino Biondini e Palmiro Serafini. Marchi Doriano, Nevio Caniparoli, Emilio Cattalini e Ladis Fioravanti completavano l'organico della squadra di fondo. Mentre l'atleta di sci nordico più rappresentativo dello Sci Club fu senza dubbio Graziano Sghedoni, che, dopo aver vinto varie gare regionali concluse la propria carriera sportiva con  l'undicesimo posto ai  Campionati  Italiani "Giovani"  nel  1959.