Quel gran sabato

Quel gran sabato tutto l'appenino
stava sotto la neve raggricciato
ma Civago era in piazza e imbandierato
ed esultante incontro al sole andò.
Era il sole quel dì pel Civaghino
l'angelico sorriso di Vittorio
che strombettando dietro il promontorio
l'arrivo inaugurale confermò.

        Di quel sabato, Iddio lo benedica,
        ho promesso descrivere la festa
        ma per quanto mi frughi nella testa
        trovo un gran vuoto al posto di quel dì.
        Non mi credevo che la gran fatica
        di andare al mio paese col Postale
        mi procurasse un amnesia totale
        invece, guarda un po' è proprio così.

Stanco, ero stanco forse più di Quinto,
le gambe mi facevano giocondo
tanto che per discendere da Edmondo
che offriva a tutti gratis il caffè
se non ebbi bisogno d'esser spinto
fu perché ci discesi da seduto,
quasi che avessi anch'io tanto bevuto
come gli amici ch'erano con me.

        Da Edmondo ci doveva essere gara
        di ballo. Infatti vedo in un nebbione
        Pagliai fare una grande esibizione
        ma non so quale premio gli toccò
        perché intanto Pasquino della Sara
        in provvisoria libertà al paese
        con discorsi corretti di francese
        in men che non si dica mi ubriacò.

Perciò quando mi vennero a chiamare
per andare in cucina di Rizieri
con Sindaco, geometri e ingegneri
mi sentii sollevato anzichenò.
Ma ci faceva un caldo da crepare
tanto che mio fratello assai gentile
con il fiasco del vino, in bello stile
l'autista provinciale rinfrescò.

        Ma fosse la salsiccia appena fritta
        o qualcos'altro se così vi piace
        quella stanza pareva una fornace
        e già si cominciava a trasudar,
        quindi pensammo che la via più dritta
        fosse quella dell'uscio ed in effetti
        salutammo Coriani ed Albaretti
        e l'aria fresca uscimmo a respirar.

Più tardi ritornammo da Magnani
ad annusare i resti del festino,
ma specialmente per scolare il vino
dei fiaschi sparpagliati qua e là:
e lì tra i fragorosi battimani
per le rime sfornate da Ruffini
guardavo l'ingegnere Paterlini
immortalato per l'eternità.

        Oggi mentre parlava, stranamente
        mi pareva cresciuto di una spanna
        forse per la scalata di una scranna,
        ma per noi tanto grande resterà.
        Avendo eretto, molto arditamente,
        un arco di trionfo qui vicino
        che Alfredo collaudò con il Guzzino
        ed assicura che non crollerà.

Se poi lassù, lassù in macchia Serena
farà un altr'arco, un arco di Vittoria,
chi toglierà il suo nome dalla storia
di Civago? Noi certamente no.
E i nostri nipotini, dopo cena
racconteranno ai loro nipotini:
"C'era una volta il grande Paterlini..."
E il bimbo: "Nonno, questa già la so."