Requiem per un amico

Presso una croce pitturata in nero
come le croci che sotterra Enrico
quando fa straordinario al cimitero
c’era un castagno. Un castagnaccio antico
tutto storto, rugoso, mezzo secco
e brutto e spelacchiato come Cecco.

Eppure a noi quel tronco secolare
era più amico di molti altri amici
e infatti ci davamo un gran daffare
per innaffiarne a turno le radici
quando, ricordo, compassati e seri
uscivamo da casa di Rizieri.

Io mi ci arrampicavo come un gatto
e spesso ne toccavo il cimalino
ai miei bei tempi quando ero un po’ matto.
Ma appena diventai meno cretino
non feci più quella fatica sciocca
e riposai, seduto sulla ciocca.

Venivano a tenermi compagnia
lavoratori della mia maniera
come Germano, Silvio, Geremia
e il povero Melaio, quando c’era,
uso a sballarne di una tale forza
che anche al castagno accapponò la scorza.

Difatti ce l’aveva raggrinzita
come una sgualdrinella fatta vecchia
perché al castagno nella lunga vita
ce n’entrò per così dire dentro le orecchia
e tante ne imparò che non rincresce
sia sempre stato muto come un pesce.

Con una lingua come l’Evelina
avrebbe fatto concorrenza fiera
tanto alla Silvia quanto alla Santina,
che messo lì sul prato della fiera
conosceva per nome il becco e il bue
ed anche le vacche a quattro gambe e a due.

Invece lui teneva ogni segreto
e ci ha visto in più di un’occasione
scendere quatti quatti il Romiseto
e andare giù da cà di Natalone
mai si permise un biccio di commento
pur facendo così se c’era vento.

Ma una tremenda notte in cui mi han detto
che i due mariti delle due Esterine
non erano voluti andare a letto
anche l’albero vide la sua fine
e fu trovato dopo la buriana
a gambe all’aria come una puttana.

Povero amico morto e duro e secco
che dopo l’autopsia passo alle fiamme
e ci ha lasciato solo qualche stecco
per ricordo, mischiato nel bailamme
della vecchia riserva di fascine
che fu la gloria delle due Pupine.